Perché proviamo senso di colpa per qualcosa accaduto tanti anni fa? C’è una seria spiegazione

Il senso di colpa per eventi passati è un fenomeno psicologico che continua a influenzare profondamente molte persone, anche anni dopo il verificarsi di un evento doloroso o traumatico.

Non si tratta di una debolezza personale, ma di un segnale che dentro di noi persistono emozioni complesse non ancora del tutto elaborate. Ecco perché spesso ci si sente ancora oppressi da rimorsi e autocritiche legate a decisioni o situazioni ormai concluse.

Il senso di colpa post-traumatico si manifesta come una reazione emotiva a esperienze che hanno lasciato un segno profondo, sia che si sia stati protagonisti dell’evento, vittime o semplici testimoni impotenti.

Le radici del senso di colpa post-traumatico

Studi psicologici (Lee et al., 2001) evidenziano come questa forma di colpa non riguardi tanto i fatti in sé, quanto le interpretazioni che ne diamo: pensieri come “avrei potuto fare di più” o “se solo avessi agito diversamente” alimentano un circolo vizioso di rimorso.

Tra le situazioni in cui questo senso di colpa si presenta più frequentemente rientrano esperienze come aborti spontanei o volontari, separazioni dolorose, tradimenti (sia subiti che commessi), lutti o incidenti gravi. Il cervello umano, nel tentativo di dare un senso al trauma, tende a cercare un colpevole, spesso erroneamente identificato in sé stessi.

Perché il senso di colpa persiste nel tempo

La permanenza di questo sentimento nel corso degli anni può essere dovuta a diversi fattori:

  • Memorie emotive non integrate, che rimangono isolate e non elaborate (van der Kolk, 2014);
  • Credenze negative profonde su di sé, come “sono una persona cattiva” o “merito di soffrire”;
  • Assenza di rituali di chiusura simbolica, fondamentali in molte culture per elaborare il lutto e il dolore;
  • Lealtà invisibile verso chi si è perso o ferito, che mantiene vivo il senso di colpa come forma di fedeltà emotiva (Boszormenyi-Nagy & Krasner, 1986).

Questi meccanismi contribuiscono a trattenere il dolore nel tempo, impedendo una piena guarigione psicologica.

Paradossalmente, il senso di colpa può agire come una protezione contro l’angoscia dell’impotenza. Ammettere di non aver potuto fare nulla in una situazione drammatica può risultare troppo doloroso per la mente umana, che preferisce attribuirsi la colpa piuttosto che affrontare la sensazione di totale impotenza. Questa dinamica è stata ampiamente documentata come parte dei meccanismi di coping nei sopravvissuti a traumi (Janoff-Bulman, 1992). In sostanza, il senso di colpa si configura come una sorta di “illusione di controllo” che ci aiuta a gestire esperienze emotivamente devastanti.

Per liberarsi dal peso di un senso di colpa radicato nel passato, è spesso necessario intraprendere un percorso terapeutico che lavori sia sulla memoria emotiva sia sul dialogo interno critico. Due approcci efficaci e largamente riconosciuti sono l’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) e la Compassion Focused Therapy (CFT).

  • EMDR consente di accedere ai ricordi traumatici per rielaborarli in modo più funzionale, trasformando convinzioni negative come “è tutta colpa mia” in pensieri più realistici e compassionevoli (Shapiro, 2017).
  • La Compassion Focused Therapy aiuta a sviluppare gentilezza verso sé stessi, contrastando l’autocritica e promuovendo un atteggiamento più equilibrato e amorevole nei confronti dei propri errori e limiti (Gilbert, 2010).

Esercizi pratici per lavorare sul senso di colpa

Alcune pratiche quotidiane possono supportare il processo di elaborazione emotiva:

  1. Scrivere una lettera alla parte colpevole di sé stessi, riconoscendone paure e bisogni con un tono comprensivo, non giudicante.
  2. Praticare un dialogo interno compassionevole, rispondendo ai pensieri di colpa con frasi come:

Alcuni esercizi per rimediare alla situazione – www.medjugorje-news.it

  1. “Hai fatto il meglio che potevi in quel momento.”
  2. “Non tutto era sotto il tuo controllo.”
  3. “Anche gli errori fanno parte dell’esperienza umana.”
  4. “Posso accogliere il mio dolore senza punirmi.”

Questi esercizi, ripetuti con costanza, aiutano a riscrivere il dialogo interno, favorendo una maggiore accettazione di sé.

Carl Rogers, noto psicologo umanista, scriveva: “Quando accetto me stesso così come sono, allora posso cambiare.” Questo principio resta fondamentale per chi desidera trasformare il senso di colpa in un’opportunità di crescita e liberazione emotiva.

Published by
Rosalia Gigliano